CRISTINA PICCIN

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Lo “stato di grazia”, grazie all’allenamento

Pensare ? COme si può pensare e colpire la palla nello stesso istante ?

Yogi Berra – Giocatore di Baseball

Né ho avuti diversi nel mio percorso di judoka, e spero e – aggiungerei – lavoro per
poter essere aperta a questo “stato psicologico ottimale” il giorno della gara nel
futuro. Me ne ricordo uno ancora con preciso, grazie ad un video che mi fu stato fatto
dell’ippon (ippon = parola che indica il punto massimo nel judo che attribuisce al
judoka la vittoria nel combattimento) – sottolineo qui l’importanza della presenza del
video come strumento di oggettività e di ricerca per gli allenatori e gli atleti nella
preparazione mentale/tattico-tecnica post-competizione.

Vi siete mai chiesti cosa succede nel nostro cervello e nel nostro corpo quando una
tecnica, un movimento, un’azione ci sembra così facile da eseguire in un
combattimento, in una partita, in un’esibizione o ad esempio quando quella corsa o
quella gara ci era sembrata scivolarci tra le dita, portandoci senza alcuna fatica alla
vittoria e ad una delle nostre migliori prestazioni? Per noi sportivi più esperti questa
non è cosa rara e spesso rimane sempre impressa nei nostri ricordi di gara,
affermerei quasi, che ricerchiamo addirittura questa sensazione, questo “stato di
grazia”.

Mi trovavo in un Continental Open a Bucarest, in un combattimento con un’avversaria
(a mia insaputa, forse per fortuna) medagliata in Grand Slam. Quel giorno avevo
molta energia e nessun pensiero di risultato nella testa, volevo “solo far judo”, “solo
combattere, divertirmi ed esprimermi” essendo una delle mie prime competizioni in
quella categoria di peso a quel livello internazionale. Se non avessi visto il video in

seguito, ricorderei solamente il tatami e la scena illuminata dai riflettori tipici delle
gare IJF (Federazione Internazionale di Judo), la mia avversaria e la sua strategia
che avevo capito sin dalla prima azione e un unico pensiero in testa: attendere con
pazienza che si esponesse di nuovo in quella strategia per lanciare la tecnica adatta,
che era un mio cavallo vincente.
Tuttavia questo è il frutto dell’analisi fatta in seguito con il mio preparatore mentale
dell’epoca, poiché come tutti gli atleti degli sport di combattimento sanno, il tempo
vola velocissimo sulla materassina: non né abbiamo per riflettere ed essere coscienti
dei nostri pensieri, come ci dice appunto Yogi Berra. Quest’unico pensiero tecnico
piombò nella mia mente solo un millesimo di secondo, come fosse un suggerimento
intuitivo dal fondo del mio cervello. Poi, di colpo qualche secondo dopo mi ritrovai
sopra l’avversaria udendo l’arbitro che mi assegnava la vittoria. Sapevo di aver fatto
quella tecnica, ma non ero capace di ricordarmene consciamente e dettagliatamente.
Ero pienamente vigile e concentrata, ma non del tutto cosciente. Come direbbero i
giovani che seguo oggi: “è partita da sola, come se non fossi stato io a farla, ma solo
a volerla ed ero certo che fosse la risposta giusta”.
Certamente non sono e non sarò l’unica atleta a testimoniare tali eventi che rendono
lo sport un’educazione e un’attività di crescita personale d’eccellenza: tutti voi avrete
in mente un episodio simile.

Torniamo però alla teoria. Tale fenomeno non è esclusivo agli atleti, ma anche agli
artisti durante un concerto, uno spettacolo, un’esibizione, ed anche ai manager
e dirigenti durante le conferenze, le negoziazioni aziendali di fronte a possibili
clienti influenti. Il “flow”, il nome scientifico che descrive questo stato mentale
emerso nel 1970, è caratteristico dell’Uomo in generale. Esso si può manifestare
anche nei momenti di pienezza e di felicità di fronte ad un paesaggio che ci
commuove ad esempio.

Nella psicologia dello sport un grande numero di studi si sono consacrati agli stati
motivazionali. Inizialmente essi si interessavano solamente alle emozioni negative, in
seguito scienziati come Csikszentmihalyi, Jackson, Lubinski, Benbow, Buss, ed altri,
negli anni ’90 e 2000 hanno dato vita ad una corrente di ricerca diversa: la
psicologia detta positiva, focalizzandosi soprattutto sui meccanismi messi in atto da

chi raggiunge l’eccellenza e la gioia in diversi ambiti. Essa si definisce come “la
scienza dell’uomo” che tenta di comprendere come insegnare alle giovani
generazioni le variabili (ottimismo e perseveranza), secondo Csikszentmihalyi e
Seligman (2000).
Nel 1975 Csikszentmihalyi ha definito il FLOW come “uno stato di attivazione
ottimale nel quale il soggetto è completamente immerso nell’attività”. Questa
esperienza è qualificata come “autotelica”, ovvero “che ritrova la sua fine in sé
stessa”. In effetti, qui vorrei sottolineare quanto sia primordiale che la motivazione
provenga da qualcosa di più profondo che il raggiungimento di un semplice risultato,
di un premio o di una riconoscenza. Non è quindi una semplice supposizione
l’affermare che per raggiungere i livelli più alti in un certo campo, sia necessario
avere motivazioni radicate e in armonia con noi stessi e nostri valori. Pertanto il
ruolo dell’allenatore, il suo modo di lavorare con i giovani e la presa di
consapevolezza dell’atleta sono primordiali (ma questo sarà oggetto di un altro
articolo).
Questo scienziato dal nome complicatissimo, che noi tutti specialisti del settore non
abbiamo ancora imparato a pronunciare per quanto sia riconosciuto, ha identificato
diversi elementi indicatori dell’apparizione e dell’intensità del flow:

  • l’assenza di stress, ansia e noia
  • una percezione di emozioni positive in quel dato momento
  • dei feedback chiari (dalla situazione o dall’allenatore)
  • la focalizzazione della propria attenzione sull’azione e non su altro
  • una percezione di equilibrio tra le proprie competenze e la sfida da affrontare

Come potete notare da questi punti, la sicurezza in sé stessi dello sportivo, della
squadra e anche dell’allenatore sono un ingrediente che racchiude in sé tutti questi
punti, pertanto è interessante allenarli ogni giorno in modo complementare alle
sedute di preparazione fisica, tattica e tecnica e nel situazionale. Per poter
condurre gli atleti ad essere disposti ad un tale stato psicologico, un lavoro
precedente di costruzione sulle abilità mentali forti è consigliato.
Pertanto il concetto di flow ha una rilevanza centrale nella pratica sportiva, in quanto

è possible poter portare gli atleti a riuscire ad allenare questa predisposizione
ad uno stato ottimale di prestazione. Tale stato equivale, infatti, ad un elevato
livello di focalizzazione dell’attenzione e di sicurezza nelle proprie capacità, da parte
degli atleti più esperti, che riescono a selezionare inconsciamente le informazioni più
rilevanti per raggiungere la prestazione. Avendo ricevuto feedback costruttivi,
concreti e chiari durante gli allenamenti, una sicurezza sulle azioni da
effettuare in situazioni di sifda (come quella della gara) è possibile.

Un antipatico paradosso

Siccome esso è uno “stato di coscienza modificato”, più l’atleta lo ricerca,
riflettendoci, pensandoci, ostinandosi nella produzione di tale flow, meno è
raggiungibile. Come gli studi dimostrano esso si produce nel momento in cui siamo
completamente immersi nell’azione, nell’attività, pertanto non nella riflessione che è
tipica della parte cognitiva del nostro cervello che racchiude il ragionamento.
Esso è composto da ingredienti più complessi che si nascondono nell’azione, nelle
emozioni e nell’allenamento sul lungo termine. Portando l’esempio del mio sport – il
judo – quante volte abbiamo voluto riprodurre quella tecnica in combattimento, quella
stessa azione che ci aveva portato alla vittoria in maniera automatica, ma invano. E,
al contrario, proprio quando la nostra mente è rilassata e concentrata nel insieme del
combattimento le migliori mosse vengono compiute!

Non è questo forse l'obiettivo dell'allenamento? Un susseguirsi di feedback, di
errori e di correzioni che ci portano all'automaticità intelligente?
Un giorno il mio allenatore mi disse (e tutt'ora a volte me lo ricorda!): “Me ne
frego se cadi. Non serve a niente essere sicuri in allenamento. Ti alleni per la
gara. Ti alleni per essere sicura in gara.” Aveva e ha capito tutto.

Cristina P.
preparatrice mentale

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